mercoledì 21 luglio 2010

Istinto e ragione

“Oltre 1000 aquilani lasciano la città” c’era scritto qualche giorno fà sulle locandine che lanciavano il numero del Centro in edicola. Più di 1000 aquilani hanno deciso di trasferirsi altrove. Confesso di non aver letto l’articolo al quale quelle locandine facevano riferimento, ma la mia prima reazione a quello “strillo” è stata, presumo, la stessa di tanti altri: rabbia, rabbia e costernazione.
Poi ci ho pensato su e mi sono detto che in fondo la vera, grande notizia è un’altra: che SOLO 1000 aquilani hanno scelto di andarsene dall’Aquila. Nonostante tutto, dopo quasi 14 mesi di tribolazioni, sì e no l’uno e mezzo per cento degli aquilani ha ceduto alla tentazione di lasciare la città e cambiare residenza. Sarà per la famigerata faccenda del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma il fatto che quasi il 99 per cento dei miei concittadini sia ancora incollato a questa città fantasma, a una città che di fatto non c’è, mi pare pazzesco. Questo sì, è un vero miracolo.
Provate a immaginare una qualsiasi altra città nelle condizioni della nostra (perché la si può solo immaginare), dove intere famiglie con i bambini, coppie di anziani, intere comitive di ragazzini (certo, complice il bel tempo) si ritrovano a passeggiare lungo strade irriconoscibili, tra impalcature e transenne, militari a ogni pie’ sospinto, l’odore acre dei calcinacci, accontentandosi di guardare da lontano quelli che erano i luoghi del loro quotidiano, osservando con tristezza le vetrine impolverate di quelli che erano i loro negozi, e magari intrufolandosi dove non si potrebbe, rischiando un cazziatone o addirittura la pelle. E’ stato sufficiente che aprisse i battenti una manciata di locali lungo quel chilometro abbondante che va dalla Villa comunale alla fontana Luminosa, perché la gente si riversasse a frotte nel centro storico fino a notte alta. Certo, dietro a tutto questo c’è un comprensibile desiderio di normalità, ma c’è soprattutto un attaccamento viscerale alla città che non c’è più, unito magari al rifiuto di vivere in quei luoghi tristi, freddi ed estranei, in quei non-luoghi dove siamo stati trapiantati.
L’istinto mi dice che questa voglia collettiva di futuro è un buon motivo per non mollare, per non cedere nonostante tutto, per non cadere nella tentazione di lasciare la città. L’istinto.
Ma è giusto che sia solo l’istinto a guidare le scelte? La ragione mi dice che accanto a questa parte di città così vogliosa di rinascere ce n’è un’altra fatta di gente che non riesce o non vuole vedere oltre i confini del proprio orticello, di approfittatori e di veri e propri sciacalli. C’è una classe dirigente impreparata e inadeguata a una situazione del genere, spesso presa da anacronistici giochetti di potere. C’è la consapevolezza di aver subito non solo le conseguenza della furia della natura, ma anche una inaccettabile serie di ingiustizie, a cominciare dall’essere stato usato come scudo umano per una clamorosa operazione mediatica. C’è una burocrazia opprimente che ti impedisce di guardare avanti con tempi certi. E c’è poi quel senso di abbandono rispetto a una parte consistente del Paese che non vuole più nemmeno sentir parlare dell’Aquila e degli aquilani.
E’ per tutto questo che, istinto a parte, sono ancora a caccia di una buona ragione, ma buona davvero, per non mollare e per non scegliere di ricostruirmi una vita altrove, con la mia famiglia e soprattutto per la mia bambina. Prima che sia troppo tardi.

2 commenti:

  1. caterina.pasini@yahoo.it21 luglio 2010 alle ore 11:47

    che cosa dire?? è difficile,mi immedesimo in questa situazione e penso di essere li,come uno di voi,e so che sarei disperata,e con il cuore e con l'anima vorrei la ricostruzione,vorrei ritrovare quello che ho perduto...ma con la ragione non so se sia più profiquo ricominciare in un posto vicino ed avere un punto di riferimento nuovo,proprio per la tua bambina,per darle anche un senso di rinascita,pur continuando a seguire le vicende della tua città

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  2. Molti di noi, me compreso, lo scorso anno hanno fatto l'esperienza di vivere per qualche mese lontano dalla città. Beh, non vedevamo l'ora di tornare tra le nostre macerie e nelle nostre case provvisorie! Siamo matti?

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