giovedì 29 luglio 2010

Ghe pensi mi. No, ci penzemo nojatri

"Ghe pensi mi". E' il tormentone di queste ultime settimane, con il Premier sempre più convinto, evidentemente, dei suoi poteri taumaturgici e quindi lanciatissimo ad affrontare e risolvere in prima persona le questioni più disparate. Ora il "Ghe pensi mi" Berlusconi lo ha adattato anche all'Aquila, e ieri ha spiazzato tutti con un annuncio a sorpresa: "Oggi, con il sottosegretario Letta, abbiamo preso la decisione di riprendere nelle nostre mani la fase 2, quella della ricostruzione dopo l'emergenza".
Dopo mesi trascorsi lontano dall'Aquila, una lontananza rumorosa almeno quanto la presenza massiccia del Capo del Governo nei primi 12 mesi di post-terremoto, eccolo perdere la pazienza e annunciare la sua ennesima scesa in campo. Ma non aveva detto, non so più in quante occasioni, che all'Aquila andava tutto per il meglio e serviva solo tempo? Allora a che pro questo annuncio improvviso?
Un annuncio, oltretutto, arrivato pochi minuti dopo la fine di un incontro al vertice, a palazzo Grazioli, con il Commissario Chiodi, il Ministro Tremonti, il Sottosegretario Letta e il capo della Protezione civile Bertolaso. "Ho avuto conferma - ha riferito Chiodi al termine della riunione - dell'imminente trasferimento delle risorse a valere sui fondi stanziati per il 2009 e il 2010, necessarie per proseguire nella mia azione di Commissario delegato". Come a dire... "tutto risolto, i soldi che servono li avremo presto e io continuo a lavorare". Una manciata di minuti ancora, e Berlusconi, alla conferenza degli ambasciatori, si produceva nell'annuncio di cui sopra: "Ghe pensi mi".
A questo punto una domanda sorge spontanea: ma che cavolo s'erano detti fino a poco prima il Cavaliere, Chiodi e compagnia bella? E come fa Chiodi, a quasi 24 ore dall'accaduto, a non dire una parola sul fatto di essere stato turlupinato? Stavolta non si tratta di difendere gli aquilani presi in giro, ma se stesso!
Fin qui la forma. Nella sostanza, avrei un miliardo di cose da dire, come tutti gli aquilani del resto, ma mi limito a fare un paio di considerazioni. Signor Presidente, senza soldi certi e sonanti, e senza una legge speciale che faciliti la ricostruzione e il rilancio di questa città, nemmeno lei, con il migliore dei suoi magheggi, riuscirà a risolvere la situazione. E soprattutto non creda, tornando all'Aquila, di trovarci prostrati, distratti e privi di idee come l'anno scorso. Oggi siamo stanchi sì, ma sufficientemente lucidi da sapere esattamente quale città vogliamo e di cosa abbiamo bisogno; stavolta non ci lasceremo scivolare addosso decisioni e scelte che non condividiamo, non faremo le belle statuine da mostrare come trofei di operazioni mediatiche.
Lei, signor Presidente, si limiti a non ostacolarci e a metterci nelle condizioni per farlo, e vedrà che all'Aquila "ci penzemo nojatri".

mercoledì 28 luglio 2010

Un terremoto da soap opera

Nei 478 giorni trascorsi da quel 6 aprile 2009 sulle teste di noi aquilani è passato di tutto. E il guaio è che quasi mai siamo stati interpellati per dare quanto meno il nostro parere sulle scelte e sulle decisioni che ci riguardavano. Sulle nostre teste sono passati il G8, il progetto C.A.S.E., i criteri per ricevere assistenza, le norme per ristrutturare o ricostruire le nostre abitazioni, i tempi e i modi per pagare le tasse, l'utilizzo (o il mancato utilizzo) delle donazioni arrivate da ogni parte. Ora, persino il futuro assetto della nostra città rischia di essere deciso da superesperti totalmente estranei all'Aquila e agli aquilani. Tutto, in questi lunghi mesi, è avvenuto senza che ci si chiedesse il benché minimo parere.
Ma che gli aquilani finissero per essere protagonisti inconsapevoli persino di una soap-opera cinematografica... beh, questo davvero non me lo aspettavo. Si tratta di un filmetto intitolato "La città invisibile", opera prima del regista Giuseppe Tandoi, con un cast preso di peso da alcune delle fiction televisive di maggior successo degli ultimi anni. Un filmetto, a giudicare dal trailer che ne precede l'uscita (
http://www.youtube.com/v/D_VVq24FHqY), che tuttavia ha ottenuto il sostegno economico del Ministero per i beni e le attività culturali, in quanto "riconosciuto di interesse culturale).
Si vedono, nel trailer, immagini girate all'Aquila poche settimane dopo il terremoto, anche in luoghi assolutamente vietati agli aquilani. Credo che praticamente nessuno, all'Aquila, si sia accorto, in quelle settimane, di un set cinematografico al lavoro. Forse eravamo in altre faccende affaccendati! Ma provo un senso di fastidio a immaginare una troupe cinematografica che gira un'allegra commediola di ambientazione sismica, mentre tutt'intorno la gente sta patendo il terremoto, quello vero. Come del resto mi dà fastidio l'idea che il Ministero dei beni culturali, che non ha un soldo per ricostruire i monumenti dell'Aquila, dà dai soldi a un produttore per fare un film su di "noi". Attenzione alle preposizioni: non per noi, ma su di noi. Anche se poi il produttore si pulisce la coscienza devolvendo (udite udite!) il 10% degli incassi al restauro di una chiesa aquilana.
Ovviamente non ho visto il film, e sinceramente non ho alcuna voglia di vederlo (diciamo che non il mio genere preferito). Di conseguenza, il mio non può essere un giudizio definitivo. Ma se il manifesto che annuncia il film, con quei volti soddisfatti e sorridenti, che sanno più di Mulino Bianco che di terremoto, non racconta un altro film, allora non c'è da stare tranquilli. Se il trailer non è del tutto fuorviante rispetto al film (e mi sembra improbabile), "La città invisibile" farà solo dei danni. Perché magari convincerà chi andrà a vederlo (pochi... voglio sperare) che è proprio vero che all'Aquila la gente non sta poi così male. E se per caso all'Aquila c'è qualcuno che sta male e si lamenta, è finito sicuramente in un altro film, magari quello della Guzzanti. Ma quello è un film da comunisti, e i comunisti, si sa, sono un'insignificante minoranza e dei piagnucolosi piantagrane.

martedì 27 luglio 2010

Mi sento tradito

Senza girarci intorno, mi sento tradito. Tradito dagli ambulanti di piazza Duomo che non hanno alcuna intenzione di tornare nella loro sede naturale. Non ci pensano nemmeno, anzi si sono detti pronti a manifestare in mutande per ottenere lo spazio che è stato promesso loro a piazza d’Armi e per il quale hanno anche trovato dei soldi. Sono d’accordo con loro quando rivendicano il diritto a lavorare tutti assieme in uno spazio dignitoso e ad avere un reddito degno di questo nome. Ma sono d’accordo solo su questo. Non sono d’accordo quando dicono che in piazza Duomo non farebbero un soldo. Non sono d’accordo quando dicono che in centro non va più nessuno. Nelle ultime settimane è bastato che aprisse qualche attività per riportare gli aquilani in centro, segno che tanta gente non aspetta altro che un buon motivo per tornare nel centro storico. E il mercato sarebbe un ottimo motivo.
Da quando vivo all’Aquila, e sono ormai più di 30 anni, ho sempre considerato il mercato in piazza uno dei simboli della città. E quella piazza il suo luogo naturale. Una piazza che con le sue quindici strade d’accesso è chiaramente nata per ospitare il mercato e non ha senso senza di esso. In quest’ultimo anno, da quando la piazza è stata riaperta, i commercianti del mercato non hanno provato una sola volta a tornare in piazza Duomo, disertando quasi tutti anche un timido tentativo a titolo sperimentale. E dire che hanno continuato a lamentarsi (e in questo hanno ragioni da vendere) delle localizzazioni a Pettino e all’Acquasanta. Nemmeno con l’arrivo della bella stagione hanno accennato alla possibilità di tornare in centro, magari nei fine settimana.
Possibile che non capiscano quanto sarebbe importante la loro presenza in piazza Duomo per fare da volano alla rinascita del centro? Che il loro ritorno potrebbe incentivare e accelerare la riapertura delle banche e degli uffici? Possibile che non si rendano conto che il mercato potrebbe essere il primo tassello per restituire alla vita il cuore della città?
Dicono che senza la possibilità di parcheggiare in centro il mercato non può vivere. A parte che il parcheggio non era possibile neanche prima, se non quello selvaggio, ma una parte di quei fondi raccolti per piazza d’Armi potrebbe essere utilizzati, ad esempio, per organizzare un servizio navetta tra piazza Duomo e la zona della Villa comunale e di Collemaggio.
Dicono che il nuovo centro della città è piazza d’Armi. Ma in base a quale ricerca di mercato (mi si passi il bisticcio) il mercato in piazza d’Armi dovrebbe funzionare, visto che si ritroverebbe accerchiato da supermercati e centri commerciali? E poi, piazza d’Armi potrà anche essere (questo sì) il punto nevralgico del traffico cittadino, ma il centro è e resta quello storico. Dobbiamo fare in modo tutti, commercianti compresi, che non perda la sua funzione e non diventi solo una Pompei del XXI secolo.
Nel mio piccolo, sono sempre stato pronto, in questi 15 mesi, a dare il mio appoggio a chi dimostrava di non volersi arrendere alla catastrofe. Credo di essere coerente se dico che non darò il mio sostegno , per quel poco che può valere, a chi vuole solo abbassare la testa.

mercoledì 21 luglio 2010

Istinto e ragione

“Oltre 1000 aquilani lasciano la città” c’era scritto qualche giorno fà sulle locandine che lanciavano il numero del Centro in edicola. Più di 1000 aquilani hanno deciso di trasferirsi altrove. Confesso di non aver letto l’articolo al quale quelle locandine facevano riferimento, ma la mia prima reazione a quello “strillo” è stata, presumo, la stessa di tanti altri: rabbia, rabbia e costernazione.
Poi ci ho pensato su e mi sono detto che in fondo la vera, grande notizia è un’altra: che SOLO 1000 aquilani hanno scelto di andarsene dall’Aquila. Nonostante tutto, dopo quasi 14 mesi di tribolazioni, sì e no l’uno e mezzo per cento degli aquilani ha ceduto alla tentazione di lasciare la città e cambiare residenza. Sarà per la famigerata faccenda del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma il fatto che quasi il 99 per cento dei miei concittadini sia ancora incollato a questa città fantasma, a una città che di fatto non c’è, mi pare pazzesco. Questo sì, è un vero miracolo.
Provate a immaginare una qualsiasi altra città nelle condizioni della nostra (perché la si può solo immaginare), dove intere famiglie con i bambini, coppie di anziani, intere comitive di ragazzini (certo, complice il bel tempo) si ritrovano a passeggiare lungo strade irriconoscibili, tra impalcature e transenne, militari a ogni pie’ sospinto, l’odore acre dei calcinacci, accontentandosi di guardare da lontano quelli che erano i luoghi del loro quotidiano, osservando con tristezza le vetrine impolverate di quelli che erano i loro negozi, e magari intrufolandosi dove non si potrebbe, rischiando un cazziatone o addirittura la pelle. E’ stato sufficiente che aprisse i battenti una manciata di locali lungo quel chilometro abbondante che va dalla Villa comunale alla fontana Luminosa, perché la gente si riversasse a frotte nel centro storico fino a notte alta. Certo, dietro a tutto questo c’è un comprensibile desiderio di normalità, ma c’è soprattutto un attaccamento viscerale alla città che non c’è più, unito magari al rifiuto di vivere in quei luoghi tristi, freddi ed estranei, in quei non-luoghi dove siamo stati trapiantati.
L’istinto mi dice che questa voglia collettiva di futuro è un buon motivo per non mollare, per non cedere nonostante tutto, per non cadere nella tentazione di lasciare la città. L’istinto.
Ma è giusto che sia solo l’istinto a guidare le scelte? La ragione mi dice che accanto a questa parte di città così vogliosa di rinascere ce n’è un’altra fatta di gente che non riesce o non vuole vedere oltre i confini del proprio orticello, di approfittatori e di veri e propri sciacalli. C’è una classe dirigente impreparata e inadeguata a una situazione del genere, spesso presa da anacronistici giochetti di potere. C’è la consapevolezza di aver subito non solo le conseguenza della furia della natura, ma anche una inaccettabile serie di ingiustizie, a cominciare dall’essere stato usato come scudo umano per una clamorosa operazione mediatica. C’è una burocrazia opprimente che ti impedisce di guardare avanti con tempi certi. E c’è poi quel senso di abbandono rispetto a una parte consistente del Paese che non vuole più nemmeno sentir parlare dell’Aquila e degli aquilani.
E’ per tutto questo che, istinto a parte, sono ancora a caccia di una buona ragione, ma buona davvero, per non mollare e per non scegliere di ricostruirmi una vita altrove, con la mia famiglia e soprattutto per la mia bambina. Prima che sia troppo tardi.

martedì 20 luglio 2010

Un altro blog?!

C’era bisogno di un altro blog? Non è una domanda retorica, è quello che mi sto chiedendo da settimane, da quando mi frulla per la testa di aprire anch’io uno spazio sul web.
La risposta non l’ho ancora trovata, ma tant’è, eccomi. Certo, all’Aquila dal 6 aprile (del 2009 ovviamente) c’è stato tutto un fiorire di blog. Ma la cosa è comprensibile e spiegabilissima: abbiamo tutti, noi aquilani, un bisogno disperato di parlare della nostra città, della nostra condizione di terremotati, del nostro futuro. E, senza girarci troppo intorno, è quello che vorrei fare anch’io attraverso il mio blog.
In realtà sono già piuttosto attivo su Facebook, ma col passare dei mesi mi sono reso conto che quello è uno strumento formidabile per dare libero sfogo agli sfoghi. FB funziona e ha senso se gioca sull’immediatezza. Di sicuro non è terreno fertile per la riflessione.
Con “Post scriptum” vorrei invece provare a pensarci su prima di scrivere, resistendo anche alla tentazione (e a quel pizzico di deformazione professionale) di correre dietro alle notizie. Con l’obiettivo di riflettere e, se ci riuscirò, di far riflettere.
Tuttavia sarei ipocrita se dicessi di sapere esattamente dove andrò a parare, di cosa scriverò, quanto e quando scriverò, se riuscirò ad essere diretto e obiettivo quanto basta per risultare credibile. Di sicuro sarà un blog pieno di domande, come del resto, da quasi un anno e mezzo, è piena di domande la vita quotidiana di noi aquilani. Domande, purtroppo, spesso senza risposte.